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Steve Jobs: il film inutile

“Steve Jobs” è un film bruttissimo. Tanto per chiarire.

Deludenti gli attori: sempre sopra le righe, sempre in affanno a tener dietro alla velocità logorroica delle battute.

Il non-Steve-Jobs Michael Fassbender

Partiamo da Michael Fassbender (300, Bastardi senza gloria), il punto fondamentale è che non è Steve Jobs, non gli somiglia neanche un po’: resta sempre così dannatamente “biondo con gli occhi azzurri”, non riesce nemmeno di imitarne le movenze. Pretendere che tutto sia ciò superabile, che questo non interrompa drammaticamente il realismo e il coinvolgimento dello spettatore quando questi è chi ha seguito l’avventura umana del fondatore della Apple, la sua carriera, la sua immagine pubblica, persino arrivando a vederlo di persona è forse davvero troppo.  Inoltre il pur bravo attore qui (complice anche il regista) è sempre fuori parte, sempre incerto, sempre a strabuzzare gli occhi.
Tanto valeva mangiar pesci vivi come Di Caprio in “Revenant” per fare “la cosa da attore che punta all’Oscar”. Continua a leggere

La Grande Bellezza

LGB

Amo il cinema, non sono un cinefilo colto, non ho studiato, m’interessa poco, normalmente, mettere troppa scienza in qualcosa che deve emozionare.

E’ come per il vino: non “sono studiato” da somelier, non riesco a trovarci “fragoline di bosco”, nel vino. Ma normalmente se il vino è buono mi piace. Non so perché, forse il gusto si fa con poca esperienza e tanto ragionamento, con intelligenza e libertà emotiva, non so. Se un vino è buono mi piace, e so anche spiegar perché, in qualche modo, pur senza le fragoline…

Così per il cinema: mi piace, se un film è bello normalmente mi piace. Non sono uno di quelli che “La Corazzata Potemkin…”, per intenderci. Mi piace il cinema italiano, francese, inglese. Mi piace il cinema americano, che spesso è banale perché di quello passa, tra tanto, da noi. Ma dove ci sono professionisti c’è qualità, tanto per cominciare. Mi piace anche il cinema tedesco, scandinavo e quello giapponese, mi gusta pure quello cinese e coreano. Mi piace tutto il cinema, quando dice qualcosa. E mi piace di più quando lo dice bene.

Ho visto La Grande Bellezza a casa. In poltrona, in alta definizione, ad alto volume, tutto d’un fiato, senza interruzioni. E m’è piaciuto, m’è piaciuto molto! Continua a leggere

Il "padre" italiano dell’informatica delle parole

Roberto_busaLo conoscete?

Se potete leggere questo articolo, digitato sulla tastiera di un computer, lo si deve innanzitutto a lui. Se possiamo comporre e scomporre i testi, effettuare analisi e ricerche con un paio di clic su un mouse, se comunichiamo sempre più attraverso messaggi virtuali, lo dobbiamo soprattutto a lui.

Padre Roberto Busa, pioniere dell’uso dell’informatica nella linguistica (oggi nota col nome di Linguistica Computazionale), anticipatore dell’ipertesto attivo sul Web con tre lustri d’anticipo rispetto agli scienziati americani è morto quest’estate, a 98 anni.

La linguistica computazionale studia i formalismi descrittivi del funzionamento del linguaggio naturale, in modo da trasformarli in programmi eseguibili dai computer, cioè cerca una mediazione fra il mutevole linguaggio umano e le rigida capacità di comprensione del computer.

Il computer era nato come una macchina per fare calcoli. Nell’immediato dopoguerra questo intraprendente gesuita stava lavorando a un’opera titanica, voleva analizzare l’enorme opera di san Tommaso. Aveva faticosamente compilato, a mano, diecimila schede, tutte dedicate all’inventario della preposizione «in», che riteneva fondamentale dal punto di vista filosofico. Padre Busa aveva un cruccio: desiderava connettere tra di loro espressioni, frasi, citazioni e confrontarle con altre fonti disponibili.

Per questo nel 1949 (!) bussò alla porta di Thomas Watson, il fondatore dell’IBM, che lo ricevette nel suo studio newyorkese, rimase ad ascoltarlo, e alla fine gli disse: «Non è possibile far eseguire alle macchine quello che mi sta chiedendo. Lei pretende d’essere più americano di noi». Il gesuita non si diede per vinto e mise sotto il naso del boss dell’IBM un cartellino che portava stampigliato il motto della multinazionale, coniato proprio da Watson: «Il difficile lo facciamo subito, l’impossibile richiede un po’ più di tempo». Busa lo ridiede al fondatore dell’IBM non nascondendo tutta la sua delusione. Watson si sentì provocato e così cambiò idea: «Va bene, padre, ci proveremo. Ma a una condizione: mi prometta che lei non cambierà IBM, acronimo di International business machines, in International Busa machines».

Dall’incontro di queste due menti creative nacque l’ipertesto, quell’insieme strutturato di informazioni unite fra loro da collegamenti dinamici consultabili sul computer con un colpo di mouse. La parola hypertext sarebbe stata coniata da Ted Nelson nel 1965, per progettare un software in grado di memorizzare i percorsi compiuti da un lettore. Ma, come è stato documentato da Antonio Zoppetti, esperto di linguistica e informatica, chi «davvero operò sull’ipertesto, con almeno quindici anni d’anticipo su Nelson, fu proprio padre Busa».

Grande cultore delle lingue, era in grado di discutere delle sue scoperte in latino, greco, ebraico, francese, inglese, spagnolo, tedesco. «Mi sono dovuto arrangiare con i rotoli di Qumrân – raccontava – che sono scritti in ebraico, aramaico e nabateo, con tutto il Corano in arabo, col cirillico, col finnico, col boemo, col giorgiano, con l’albanese».

Padre Busa era rimasto sempre un sacerdote. E le ricerche che svolgeva sui software lo confermavano nella fede: «Una mente che sappia scrivere programmi – amava ricordare – è certamente intelligente. Ma una mente che sappia scrivere programmi i quali ne scrivano altri si situa a un livello superiore di intelligenza. Il cosmo non è che un gigantesco computer. Il Programmatore ne è anche l’autore e il produttore. Noi Dio lo chiamiamo Mistero perché nei circuiti dell’affaccendarsi quotidiano non riusciamo a incontrarlo. Ma i Vangeli ci assicurano che duemila anni fa scese dal cielo».

A Milano si trova la fede…

di Giacomo Poretti, 29 Settembre 2011, in occasione del saluto del nuovo Vescovo di Milano, Angelo Scola

Eminenza,
nel rivolgerle il mio più caloroso saluto le devo anche porgere le mie scuse perchè il mio non sarà un racconto fedele né tanto meno realistico sulla città, quanto piuttosto la confessione di un innamorato, spero quindi che Lei vorrà perdonare i sentimentalismi e gli eccessi di fantasia, ma forse l’amore e la fantasia, anzichè aggiungere e deformare la realtà, la denudano nella sua  semplice bellezza.

Due cose sono state fondamentali per la mia vita: Milano e i preti.
Tra me e Milano è stato un amore a prima vista. Con i preti invece… ci ho messo un pò di più.
La prima volta che sono venuto a Milano avevo 5 anni ed ero alto 90 cm,    ero in compagnia del mio papà, che benchè ne avesse 30 di anni, superava di poco il metro; siamo entrati nello stadio di San Siro per vedere una partita di calcio e siccome all’epoca si stava in piedi ( era il 1960 !), né io né il mio papà riuscivamo a vedere niente, allora il papà mi ha messo sulle sue spalle ed io dovevo raccontargli che cosa succedeva, solo che non conoscevo le regole del gioco e nemmeno i  nome dei giocatori, allora il papà mi ha preso in braccio e mi ha detto” va bene ci tornerai quando sarai più grande, ma almeno ti è piaciuto qualche cosa?  “si, ho risposto, mi è piaciuta quella squadra con le maglie nere e azzurre”!

Quando siamo arrivati a casa il papà ha detto alla mamma “ oggi a Milano questo bambino ha scoperto la fede!”
Poi sentivo a tavola che i miei genitori dicevano che la fede andava coltivata, e per far questo mia madre mi mandava in chiesa e all’oratorio del paese, il mio papà invece mi portava a vedere l’Inter a San Siro.
All’oratorio ci andavo tutti i giorni, allo stadio una domenica sì e una no.
C’è stato un periodo che la mia squadra vinceva molti scudetti e allora il mio papà mi portava in piazza Duomo a festeggiare. Quando tornavamo a casa alla sera  la mamma ci chiedeva dove eravamo stati, il papà diceva… siamo stati in Duomo  perchè il bimbo voleva dire una preghiera di ringraziamento alla Madonnina…
la mamma commossa aggiungeva: vista la sua devozione questo bambino bisognerà mandarlo in seminario!
Non saprei dire se malauguratamente o per fortuna, la mia squadra a un certo punto ha smesso di vincere, io ci rimanevo male, ed anche la mamma non si dava pace di come io avevo smesso di pregare e ringraziare la Madonnina. Continua a leggere